Dall’immagine di frutto marginale alla conquista dei mercati: resilienza, innovazione e sostenibilità raccontate da chi lo produce e lo valorizza
“Del fico d’India non si butta via nulla e rappresenta la coltivazione più eco-sostenibile del pianeta”. Lo ha affermato Salvatore Raspisarda, direttore del Consorzio Euroagrumi di Biancavilla (Catania) intervenendo nella trasmissione “La rivoluzione dolce del fico d’India” in onda in questi giorni su 7Gold, prima puntata del format “La natura dal campo alla tavola”.
“Gli inizi di ottobre sono il punto di passaggio fra due produzioni del fico d’India – ha precisato Rapisarda – cioè il primo fiore e il bastardone, che è tardiva e di calibro maggiore. La produzione di punta viene riconosciuta con il marchio “Fico d’India dell’Etna Dop”.
Il primo servizio esterno ha riguardato l’agricoltore catanese Antonino Todaro che produce fichi d’India da più di trent’anni. “Il problema della raccolta non è nelle spine, ma sta nelle temperature: in agosto o in settembre è ancora molto caldo e c’è chi raccoglie di notte. Fino ad ora è stata una buona raccolta”.
Il professor Alberto Continella, docente di Coltivazioni arboree all’Università di Catania ne ha descritte le origini e l’attualità “La pianta, originaria del Messico, si è ambientata bene nell’ambiente siciliano. I frutti sono molto gustosi e ricchi di succo, con notevoli proprietà nutraceutiche. Le varietà sono identificate dal colore: la rossa, la gialla e la bianca. Il fico d’India produce due fruttificazioni l’anno, grazie alla capacità rifiorente. I frutti di seconda raccolta, più tardivi, cioè di ottobre o novembre, sono considerati migliori in quanto hanno relativamente meno semi e hanno caratteristiche organolettiche leggermente differenti”.
Negli ultimi anni la coltivazione ha avuto una profonda riscoperta. “Il fico d’India – ha sottolineato Rapisarda – aveva una sorta di pregiudizio, a metà del secolo scorso era chiamato il pane dei poveri. Ma negli ultimi anni è diventato un frutto di grande interesse gustativo e nutrizionale. Ma non solo frutti: la pala del fico d’India, il cladode, viene sfruttato per i più ampi usi, dalla bigiotteria all’alimentazione animale”
Lo ha testimoniato anche Antonio Iuculano, allevatore: le vacche del suo allevamento si cibano, nei mesi di siccità, di pale di fico d’India. La pala sostituisce l’erba e il foraggio, ma apportando più sostanze nutritive all’animale, oltre che acqua.
Presso la cooperativa Portobello di Biancavilla, il presidente Giovanni Crispi ha illustrato le varie fasi di lavorazione. “La confezione tipo presenta 4-5 frutti e, nel giro di un paio di giorni, i frutti passano dal campo ai banchi del supermercato, fino al nord d’Italia e in Europa. I fichi d’India non necessitano di trattamenti antiparassitari per cui sono sicuri sotto tutti i ponti di vista. La raccolta parte ai primi di agosto e va avanti anche fino a dicembre, se le temperature rimangono miti”.
E’ un frutto multifunzionale, come ha descritto Paolo Scicolone del comitato scientifico A-Planet, “Con le pale del fico d’India abbiamo realizzato una bevanda, facile da bere, con tutte le peculiarità antiossidanti del frutto di partenza”.
Antonio Di Mauro, assessore al Turismo del Comune di Belpasso (Catania), ha ricordato che ogni anno, in ottobre, si tiene una sagra molto partecipata. Giunta alla decima edizione, la sagra si terrà dal 18 al 20 ottobre a Belpasso.
La famiglia Scalisi ha aperto le porta di casa accogliendo le telecamere di 7Gold: Maria Scalisi ha mostrato come si prepara la mostarda di fico d’India. “E’ una preparazione estiva che poi si consuma in inverno – ha affermato – e che necessita una serie di passaggi, dalla preparazione alla cottura che dura 5-6 ore per restringere il succo di almeno un terzo. Poi si aggiunge la farina per addensare il prodotto”.
Dal campo alla tavola il percorso si è concluso nella cucina dello chef Fabio Sciletta per un risotto con fico d’India e farina di carruba.
“Il fico d’India è il frutto più ecosostenibile del mondo – ha concluso Rapisarda – perché necessita di soli 16 litri di acqua per kg di prodotto, contro i 60 dell’arancio, gli 80 litri della mela e senza scomodare le produzioni di carne. Inoltre, riduce le aree desertiche e permette loro di diventare produttive e coltivabili”.